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Le storie importanti

A parte gli amorucci dell’adolescenza, fuochi che divampavano violenti ma bruscamente si spegnevano per andare nel dimenticatoio o restare piacevoli o anche spiacevoli ricordi del passato, nella mia lunga vita ho avuto anche storie importanti.

Storie che hanno cambiato un po’ la mia vita, arricchendomi d’esperienza, facendomi gioire e soffrire con l’alternanza tipica degli amori. Io purtroppo partivo con un handicap; avevo la quasi assurda pretesa di avere un compagno, non dico proprio etero, ma nemmeno gay.

Fedele al detto dei gay di allora, che nero con nero non tinge, aspiravo a relazioni a volte impossibili, anche perché 60 anni fa, nessuno amava pubblicizzare le proprie tendenze e ancor meno i cosiddetti etero, che poi etero non erano affatto, ma al massimo bisessuali.

Il fatto di uscire in abiti femminili, oltre che essere una necessità per sopravvivere, era anche un modo per catturare “facile facile” l’attenzione di tutti questi pseudo etero, che aspiravano fortemente a relazionarsi sessualmente ma volevano l’alibi dell’aspetto femminile.

È anche per questo che la mia prima storia vera l’ho avuta solo a 23 anni suonati, a Genova, quando ormai esercitavo da un paio d’anni. È stata una storia per certi versi bellissima. Non avevo niente, non avevo una casa e vivevo da ospite pagante da un amico che mi aveva rimediato una soffitta di pochi metri quadrati, dove coi tacchi sbattevo la testa nel soffitto e un’ unica finestrina che dava in un vuoto piccolo e buio.

Finestra inutile perché rischiosa aprirla. Nel vuoto circolavano pantegane di dimensioni mai viste. Eppure in quella soffitta ho trascorso indimenticabili notti col mio lui. Un cliente massimo due per rimediare il pasto e le mille lire che pagavo di affitto giorno per giorno, il mondo là fuori restava veramente là fuori.

Poi le cose cominciano a cambiare, lui è innamorato come lo sono io e non accetta il lavoro che faccio. Pretende che resti in casa e divide con me il suo stipendio, niente pizzeria e nemmeno ristoranti una fame perenne calmata a suon di focaccia e panini Sottoripa, dove era aperto quasi 24 ore su 24, ma ero felice o quasi.

Una vita disordinata fatta di sesso e poc’altro. Non c’erano orari per mangiare né orari per dormire, e al di fuori di questo c’era solo sesso. Ci siamo amati nel più sgangherato dei modi. La gelosia ci ha fatto scontrare fisicamente anche con violenza, ma la violenza finiva sempre col sesso e …pace fatta.

Sarà questa vita disordinata che mi porterà una brutta infezione polmonare in un’epoca in cui esser definito tubercoloso era altrettanto umiliante come esser definito nella società “normale”, omosessuale, o peggio ancora omosessuale travestito e prostituto, se poi ci aggiungevi tisico eri proprio in fondo all’abisso.

Sei lunghi mesi lontano da Genova in un Sanatorio ai confini con l’Austria, non influiranno negativamente sulla nostra passione lui troverà sempre il modo di arrivare lassù ogni due settimane, e io col terrore di perderlo l’amerò più che mai. Là sono sola, la mia famiglia ignora quello che sta accadendo e mentre a Genova, nel ghetto, i travestiti (trans era un termine non ancora creato) continuavano a gioire, soffrire e lavorare per avere, finalmente, i soldi per arrivare alla grande meta: “Casablanca”, io vegetavo in un padiglione dell’enorme villaggio sanatoriale con gli unici attimi di gioia quando potevo telefonare due/tre minuti a lui.

Ritorno a Genova, senza soldi, senza più nemmeno la soffitta, affittata ad altri, e scopro che la polizia mi cerca per rapina. Un travestito di passaggio a Genova avrebbe rapinato un cliente che al momento della denuncia avrebbe indicato, fra le varie foto segnaletiche sottopostogli, la mia, con assoluta certezza.

Poco importa che non possa essere materialmente possibile che sia io. Il caso è chiuso. Mi rifugio a Lucca, per pagare il biglietto del treno mi vendo le scarpe nuove regalami dalla mia amica Debora e parto con le vecchie che stanno assieme con la colla.

Poi tutto si risolve, il travestito di passaggio, di origine straniera, ripete il giochetto a Torino; arrestato in fragranza di reato confessa anche la rapina di Genova, ma per un soffio non faccio la fine fatta nel 1965: 109 giorni in carcere, per giunta in isolamento perché gay, poi rilasciato e prosciolto in istruttoria.

Nemmeno le scuse. Anzi mi dirà l’avvocato: “Ringrazia che son riuscito a evitarti il foglio di via.” Tutto questo però cambierà la mia testa. L’amore sarà pure una cosa meravigliosa, ma non sono più disposta a sopravvivere accontentandomi delle briciole per la sopravvivenza.

Mi impongo e decido che per il lavoro decido io. Accetta a collo torto e da li inizia una forma di declino della nostra grande passione, e il 1972 ne segnerà la fine. Resta il ricordo di un grande amore e la netta consapevolezza che il mio ragazzo di Sestri Ponente è stato e resterà l’unico ad avermi amato PER QUEL CHE NON AVEVO, visto che non avevo una casa, non avevo un’auto, non avevo denaro, e il più delle volte era grazie a Lui che potevo permettermi un panino e una coca nel baretto Sottoripa. Una bella storia durata 5 anni.

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