C’era una volta un prete speciale, un prete che era amico di Fabrizio De André e di altri cantautori genovesi, ma Fabrizio era quello con cui aveva più stretto amicizia, affascinato dalla filosofia di vita del cantautore. Per questo motivo amava dire di sé stesso: “Io vado in direzione ostinatamente contraria.”
Era rimasto così fedele a sé stesso che era diventato inviso alle alte gerarchie della Chiesa, che spesso lo convocavano per “raddrizzarlo”. Ma, essendo una missione impossibile, finivano per retrocederlo, sperando in un suo addolcimento. Figuriamoci! A lui di fare carriera interessava men che niente, anzi diventava uno stimolo per continuare.
Così, mentre i suoi coetanei scalavano posizioni, guadagnando parrocchie sempre più prestigiose, il nostro prete retrocedeva fino a ritrovarsi, ultrasessantenne, parroco di una minuscola parrocchia in una chiesetta di cento metri quadrati.
Un prete che amava interessarsi degli esclusi, degli umili, dei tossicodipendenti, delle prostitute, di quelli che la società sprezzantemente definiva “gli ultimi”. Un prete che dichiarava impunemente di considerare una gran scemenza la confessione (intesa come la intendeva la Chiesa cattolica).
“La confessione,” diceva, “è una cosa inutile: come si può pensare che un prete, anche se vescovo o cardinale, possa fare da tramite fra il peccatore e Dio? Dio non è in alto né di fianco; Dio è dentro di noi, ed è lì che dobbiamo cercarlo. Quindi, il perdono dei nostri peccati si deve chiedere direttamente a Lui.”
Un prete che si faceva grasse risate quando gli parlavi di Inferno o Paradiso. E te lo diceva senza sottintesi: “Inferno e Paradiso sono invenzioni della Chiesa cattolica. Con l’Inferno si frena l’istinto a peccare, con il Paradiso si incita tacitamente ai corretti comportamenti, magari con delle belle donazioni all’opulenta Chiesa, perché no?”
Un prete che, negli anni ’80/’90, in abiti borghesi, si faceva accompagnare da Fabrizio in ore “strane” a gironzolare in via del Campo, affascinato dai racconti del cantautore e da quei personaggi che lui definiva ingiustamente considerati ultimi da una società ipocrita e disonesta, incapace di chiedersi il perché fossero finiti lì per sopravvivere, entrando e uscendo dal carcere come criminali.
Quando invece, per lui, i veri criminali erano quelli che li avevano rifiutati, dileggiati, esclusi, discriminati. Ma tutto ciò non toglieva che, nella notte, indossata la maschera dell’anonimato, quella stessa società li cercasse per soddisfare le proprie voglie represse.
Quel prete si chiamava don Andrea Gallo. Ma che lo dico a fare? Pura formalità, credo l’abbiate già capito tutti. Quello stesso prete, una dozzina d’anni dopo, avrebbe avuto modo di conoscere le trans che operavano in via del Campo; per la società “gli ultimi degli ultimi”. E avrebbe avuto modo di sostituire con la realtà descrizioni a volte un po’ fantasiose, senza mettere piede fuori dalla canonica.
Un prete che, dopo aver conosciuto le trans sex worker del ghetto, aveva dichiarato: “Questi sono i miei apostoli,” senza timore di essere definito dissacrante. Un prete che, venuto a conoscenza del provvedimento della sindaca dell’epoca di allontanare le trans dal ghetto, si era eretto come un Don Chisciotte, più che un Don Gallo, e aveva tuonato: “Il finale di Bocca di Rosa lo riscriviamo, e lo scriviamo a modo mio.”
Un prete che, frequentandolo, non ci ha mai suggerito, consigliato o tantomeno esortato a redimerci, ossia a cambiare stile di vita. E se, preso dalla curiosità, gli chiedevi il perché di ciò, ti rispondeva candidamente: “Come la vocazione sacerdotale non ti deve essere consigliata né imposta, ma deve venire dal profondo del cuore, anche il vostro cambiamento deve fare lo stesso percorso. Volete uscire da questo mondo, ma sentitamente? Parliamone, ci sarà una soluzione, e sarà mio dovere trovarla.”
Un prete con un grande senso dell’umorismo e provocatore per natura; ci aveva fatto costituire in associazione no profit per salvaguardare i nostri diritti. Il nome all’associazione lo aveva scelto lui: Associazione Princesa. L’accostamento era ben noto a lui, a De André e a tutte noi.
Ci aveva fatto realizzare un calendario provocatorio, un vero schiaffo in faccia ai benpensanti, di cui furono vendute 6.500 copie in città. Ora una buona parte di Genova, e non solo chi era in cerca di emozioni forti, sapeva che c’eravamo anche noi e del vero motivo della nostra esistenza.
Poi il nostro Gallo ci aveva preso gusto, tanto che, quando ricevette una telefonata di fuoco da parte del cardinale Bagnasco, anziché moderarsi, mise in atto una beffa. Saputo che il cardinale sarebbe venuto in vico Untoria a visitare le suore laiche che si occupavano dell’integrazione della comunità di immigrati sudamericani, ci chiese: “Fatemi un favore; qualcuna di voi si faccia trovare dalle suore quando arriva e poi mi direte la reazione.”
E così facciamo, in quattro di noi. Il cardinale arriva con scorta, giornalisti e fotografi. Noi lo accogliamo ossequiosamente e timidamente chiediamo di fare una foto col lui. Poteva rifiutarsi? No, ma la fa con un sorriso che è un ghigno. Il giorno dopo, in prima pagina sul “Il SecoloXIX”, sotto la foto di Bagnasco accompagnato da quattro apostoli di don Gallo, appare la dicitura: “Anche il cardinale Bagnasco porta il suo consenso alle transessuali operanti nel ghetto.”
Don Gallo prende il telefono e ci chiama in associazione: “Ragazze, siete state fantastiche! Siete andate oltre le mie previsioni. Poi lo chiamerò, sono curioso di sapere quanti diavoli ha per capello.” Fece presto a esaudire la sua curiosità, perché non passarono dieci minuti che il Don era già al telefono: “Fatto.”
“E com’è andata?” gli chiediamo.
“Io ho esordito con: Mi sun cuntentu che t’è vegnû n’tu mèu carûgio.”
“E lui?” chiediamo ansiosamente.
“Niente. Ho sentito solo un click. Conversazione chiusa.”
Quando poi ci incontrerà, dirà spudoratamente: “Ragazze, ma lo sapete che mi avete provocato un orgasmo virtuale?”
Il mio ritratto di Andrea è basato su alcuni degli aneddoti intercorsi fra lui e noi, nel purtroppo breve arco di anni in cui abbiamo condiviso la vita. Il lato umano, dunque. Il lato politico, religioso, teologico lo hanno già analizzato persone più competenti di me.
C’è un libro di cui mi ha colpito il titolo: “Come i cani in chiesa”; ebbene, questi “cani” erano quelli che don Gallo voleva nella sua chiesa, mentre faceva volentieri a meno di quei cattolici intenti a sgranare rosari e cercar indulgenze, tanto da dire: “Conosco anche tanti atei con cui parlo volentieri, e ho scoperto che il loro senso di cristianità è superiore a quello di tanti cattolici biascicanti preghiere in latino di cui magari neppure sanno l’esatto significato.”
Don Gallo, letto alcuni miei scritti, mi ha esortato a scrivere: “Scrivi una biografia della tua vita, te la farò pubblicare.” Io gliel’ho sottoposta, temendo molta la sua censura. La risposta: “Questa si pubblica così com’è, non si cambia nemmeno una virgola.”
Poi Andrea, una piovosa mattina di maggio, se n’è andato per sempre. Non è morto; il suo involucro fisico è morto, non lui. Uomini come lui, che lasciano tali tesori di opere e insegnamenti, non muoiono mai. Cambiano solo sostanza e materia!
Di Rossella Bianchi