Rossella Bianchi nasce nel 1942 in un paesino sulle colline della provincia di Lucca, da una famiglia di contadini in mezzadria, ed è il terzo e ultimo figlio, avendo già una sorella e un fratello.
La situazione ambientale è probabilmente abbastanza comune per l’epoca e il contesto: vita semplice, nessuno svago in un paese di poche anime sparse sulla collina, senza corrente elettrica e acqua in casa.
Manca pressoché tutto per una vita civile, tranne il cibo; quello abbonda, è prodotto sul posto. La terra dà l’indispensabile (olio, vino, farina) e gli animali (maiale, mucca, conigli e galline) provvedono al resto.
Il denaro quasi non serve; con l’unico negozio di alimentari del paese si salda con il baratto: olio, vino, frutta in cambio di ciò che la terra non produce. Quasi non c’è affetto, almeno nelle sue più esplicite manifestazioni.
I genitori, che lavorano nei campi tutto il giorno, al loro rientro hanno ben altre attività necessarie che perdersi in carezze e affettuosità; del resto loro sono cresciuti in assenza di tutto ciò, e questo li rende poco inclini ad assumere atteggiamenti diversi.
Mario è un bambino felice. Non ha giocattoli, ma impara a usare ciò che c’è. Ha il gattino, le galline, gioca con gli animali e soprattutto ama giocare con la bambola di argilla che sua sorella si è costruita e rivestita usando ritagli di stoffa di vecchi vestiti.
Ben presto, però, scopre che il suo desiderio di giocare con la bambola non è gradito in casa e, anzi, diventa proibito dal papà. Mario non capisce il perché, ma non si arrende; sa usare l’argilla e se le costruisce da solo, ritaglia la stoffa e ci gioca di nascosto nel fienile.
Da alcuni commenti di amici del papà, che ascolta di nascosto, sente dire che probabilmente a suo padre è capitata la peggior disgrazia: un figlio finocchio. Si rende conto che stanno parlando di lui, ma non ha la minima idea di cosa significhi quella parola che tutti pronunciano con disprezzo. Lo capirà più tardi, ma servirà ancora del tempo per comprendere perché riguardi proprio lui.
Saranno anni di angoscia. Il bambino spensierato e felice non esiste più. Nessuno se ne accorge, ma Mario ora si sente un piccolo mostro, con un segreto terribile e inconfessabile. Studierà, nelle notti insonni, come nasconderlo.
Farsi prete? Sì, potrebbe essere. Simulare una disgrazia che ponga fine alla sua vita? Ci prova con due tentativi maldestri, dai quali ottiene la prima volta una serie di frustate e la seconda un braccio ingessato.
Passano altri anni, Mario non è più un bambino, ma un adolescente. Un adolescente che vive con angoscia il presente e con panico il pensiero del futuro. Si unisce apparentemente alla spensieratezza dei coetanei, ma capisce che non avrà mai diritto a un futuro felice.
Basteranno alcuni incontri casuali per fargli capire che non è affatto l’unico “mostro”, ma che in città ci sono tanti “mostri” che non si sentono tali, vivendo la propria diversità serenamente e, in pubblico, nascondendosi.
“Tenere segreta la propria natura potrebbe essere una soluzione, ma Mario avverte un’inquietudine profonda, qualcosa che lo spinge a vivere come si sente, senza maschere né ipocrisie.”
Ha la folle idea di non doversi nascondere, e nemmeno immagina che quella follia avrà un prezzo altissimo. La parte femminile dentro di sé inizia a manifestarsi prepotentemente, e la Rossella (nome ispirato alla protagonista del film Via col vento) comincia a “mangiarsi” giorno dopo giorno il Mario, che è solo esteriorità e scomodo riconoscimento sui documenti.
Questa determinazione di non nascondersi procura a Mario enormi problemi in famiglia, a scuola e nella società. Dopo il diploma in ragioneria, anche nell’inserimento lavorativo.
Mario capisce che quel diploma equivale a carta straccia e prova a uscire dai confini angusti della provincia di Lucca.
Accantona idealismi dannosi, si “traveste” da ragioniere e trova impiego a Firenze. Mesi da un lato appaganti, dall’altro frustranti: mascherare il suo vero stato non può durare a lungo. E alla fine viene messo da parte spietatamente. Succede lo stesso a Savona, all’Automobile Club.
Tutti entusiasti del suo impegno, ma dopo un po’ c’è un problema: circolano strane voci sulle sue frequentazioni notturne. Tenta con il cinema a Roma, sperando in meno pregiudizi. In parte è vero, ma solo in parte. I datori di lavoro non si fanno problemi, ma se diventi un personaggio pubblico conta il giudizio del pubblico, al quale il datore di lavoro deve adeguarsi.
Anche qui, un altro fallimento. Il caso lo porta a passare un Capodanno a Genova, nel 1964. Sarà, inconsapevolmente, la svolta della sua vita. Scopre un mondo che nemmeno immaginava esistesse. Si rende conto che si può iniziare una nuova vita in altre sembianze, realizzando quel sogno che nemmeno la Madonna era riuscita a esaudire.
Qui devo aprire una parentesi. I miei genitori, venuti a conoscenza della mia diversità, non l’avevano presa affatto bene. Visite mediche. Diagnosi: vizio inculcato da soggetti pervertiti. Terapia: cura di ormoni maschili e una serie di elettroshock. Non basta? Dove non arriva la scienza medica può arrivare l’intervento divino.
E così via a Lourdes, a cercare la grazia di diventare etero (così pregavano i miei) o donna (così pregavo io). Risultato? Astensionismo della Madonna, che di fronte a due richieste diametralmente opposte rimane in posizione assolutamente neutrale.
Inizia così, a Genova, una vita diversa da ogni previsione. Niente più ricatti, compromessi o mascheramenti. Anzi, per gli altri inizia il “vero mascheramento” e la cosiddetta perdita della dignità.
Nessuna delle due in realtà: uscire vestita da donna non era un travestimento; semmai la vera maschera era quella che avevo portato in passato per “elemosinare” un lavoro. E quanto alla dignità, ditemi voi se era dignitoso subire il ricatto perenne di rinnegare se stessi per poter sopravvivere.
Restavano i principi etici e religiosi. Sì, perché non avevo alternative, per andare avanti e coltivare il sogno di affrontare un giorno quel famoso viaggio a Casablanca che “raddrizzava” definitivamente la mia vita, bisognava prostituirsi.
E c’era dell’altro. La polizia attuava deterrenti: carcere, sottrazione della patente e del passaporto, limitazioni della libertà, come l’arresto domiciliare dalle 20 alle 8 del mattino successivo, e in caso di mancata ottemperanza c’era il confino in qualche paese del Sud o su qualche isola per 5 anni.
Di fronte a tanto disperato bisogno di essere come mi sentivo, nessun deterrente ha funzionato. Poi, fortunatamente, i tempi sono cambiati, la mentalità è cambiata, polizia e magistratura sono cambiate.
Ora, essere se stessi non richiede più necessariamente la prostituzione (che spesso, anziché favorire il costoso viaggio risolutivo a Casablanca, ti spingeva verso l’inferno dell’eroina e verso la morte precoce), e altre opportunità si sono aperte.
Rossella ha proseguito il suo percorso, alternando momenti drammatici a momenti felici. Ha saputo scansare i micidiali effetti della droga pur vivendo in un ambiente dove la droga abbondava. Ha raddrizzato la sua vita senza il viaggio a Casablanca né altre cliniche, visto che oggi il “grande passo” si può fare anche senza prendere aerei. E vive serenamente, dopo aver “camminato in punta di piedi per non bruciare i sogni”, come dice in una delle tante poesie che ha scritto.